Introdurre le vaccinazioni come requisito per l’accesso ai nidi potrebbe avere un impatto modesto nell’aumentare le coperture vaccinali dei vaccini obbligatori, soprattutto nelle aree con minore copertura, e insufficiente nell’incrementare le coperture per l’antimorbillo.
Sono le conclusioni di uno studio condotto da Antonio Clavenna e Maurizio Bonati, del Dipartimento di Salute Pubblica dell’IRCCS Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Milano, che hanno preso spunto dall’introduzione, in alcune Regioni e Comuni, della vaccinazione obbligatoria tra i requisiti necessari per l’accesso ai servizi per l’infanzia, in particolare al nido.
La cosa paradossale di questo studio è che uno dei due autori è spesso chiamato a svolgere il ruolo di Consulente Tecnico d’Ufficio nei Tribunali italiani per redigere operazioni peritali nelle controversie in tema di danno vaccinale. E puntualmente si rende responsabile di:
- oscuramento dei dati diagnostici
- alterazioni della documentazione clinica
- omissioni
- errate trascrizioni
- ipotetiche e fantasiose supposizioni
- alterazioni logiche dei certificati medici
ovvero, falsità ideologiche, che, considerata la particolare delicatezza e complessità delle indagini da compiersi, rende visibile la mancanza dei requisiti di indipendenza e imparzialità richiesti dalle funzioni di Consulente Tecnico d’Ufficio.
Pertanto, questo studio non deve lasciare spazio a troppe illusioni. Probabilmente, nel suo insieme, rappresenta un sottile messaggio alla “cricca dei vaccini” per far presente che non è stata recapitata la cosiddetta “stecca”.
Così, con una simulazione a partire dai dati dell’Emilia-Romagna, la prima Regione ad aver approvato il provvedimento dell’obbligo vaccinale, sono stati esaminati i dati della frequenze all’asilo nido, che nella Regione Emilia-Romagna è di circa il 30%, ed è stato valutato se il Decreto Legge Lorenzin permetterebbe di innalzare la soglia di copertura fino a raggiungere la soglia empirica del 95%.
La risposta è negativa, tanto più in una realtà variegata in cui in alcune ASL hanno già raggiunto questo traguardo e altre, specie nell’area romagnola, in cui il rifiuto resta alto.
Secondo gli autori il problema principale è che la decisione è apparsa come «calata dall’alto, perché non è stata accompagnata da alcuna documentazione e spiegazione, prima di tutto per i genitori; resta poi il fatto che il 70% dei bambini non è comunque toccato perché non va all’asilo o al nido».
Presumibilmente, anche il decreto nazionale, che ad oggi non è stato firmato del Presidente della Repubblica e per questo nemmeno pubblicato in Gazzetta Ufficiale, è destinato a scontrarsi con lo stesso tipo di ostacoli, tenendo conto che l’Emilia è la Regione con la maggiore disponibilità di posti nei nidi, mentre altrove scende, fino al 2% della Calabria.
Gli autori finiscono con una chicca. Ovvero, ampliare gli orizzonti ad altri Paesi che hanno puntato sull’informazione, con campagne vaccinali che continuano nel tempo, e hanno favorito la vaccinazione ampliando [attenzione alle parole] “gli orari di accesso e andando direttamente a vaccinare i bambini nelle scuole e negli asili“.